Vincitore 'miglior poesia'
Federico Pipitone – GIOVENTU’
Grafie D’autore è il Contest Letterario promosso dai Giovani Democratici della provincia di Siena e di Monteriggioni nell’estate 2010.
Ad ogni guardo guadagna germogli
l’albero della mia famiglia grande,
teneri rami e duri, e tante foglie
quante ne dà natura e quante mandi
il desiderio a ogni marito e moglie
di continuar mutate le mutande.
Ed io ch’ho contattato la compagna
di vita spero come chi sparagna.
Io farò 1 anno di Fede il 27
settembre, 21 mesi e 9 giorni
d’Amore dopo: un voto, le foto
e i ricordi palpitanti, e i ritorni
attesi, le date speranze! Annoto
alle sedici e sedici perfette
della mia rinascita la data
per la visita genitale; parte
che m’ha fatto tradire coi miei occhi
il tutto, il patto, ed ora pure, a parte,
io postula la scienza che mi tocchi,
e tengo fede alla parola data.
La catena della sorte, mandata il diciassette,
che dopo il quarto giorno aveva effetti.
La macchia solare sui biglietti
del treno del desiderio, disdetto.
Il consiglio della Grazia, e il sospetto
da collezionator d’immaginette.
E stamane che la mamma dal letto
mi sveglia, trovo aperto il braccialetto.
A l’Italia voglio dire se mi spetta
i precari presagi d’un poeta.
Ognuno deve andarsene ed aspetta,
ma se ho raggiunto questa meta
lo devo essenzialmente ai miei
e non più mediatamente alla mia lei.
Lei è la dolce sposa dei miei sogni.
Lei non dà riposo alla mia mente.
Lei di me saggia, lei mi sa già s’ogni
pensiero è vero o sincero ovvero mente.
Noi viviamo vicino ai bisogni
l’un dell’altra, dell’altra l’uno sente
salir dal cuore parola preziosa:
siam salvi se siam una sola cosa.
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Vincitore 'miglior racconto'
Matteo Betti- SETTE STORIE
Grafie D’autore è il Contest Letterario promosso dai Giovani Democratici della provincia di Siena e di Monteriggioni nell’estate 2010.
Tutti hanno una storia da raccontare.
Zàcchete.
Aria.
C’è la storia di una ragazza di ventidue anni, una mamma giovane. Gli infermieri stanno spingendo a passi svelti il suo lettino lungo i corridoi del reparto di ostetricia, fino a oltrepassare con decisa imperturbabilità la porta della sala parto.
In quel momento la mamma giovane vorrebbe avere il loro distacco, rubare un briciolo della loro esperienza. Ha le sue ragioni, il travaglio è cominciato da un pezzo. Il dolore è nuovissimo e inimmaginabile, in più ha coscienza che non è successo ancora niente. Adesso è entrata, almeno. Ci siamo finalmente.
L’ultima cosa che vede nitidamente prima che il sudore dalla fronte cominci a gocciolarle sugli occhi e sfocarle i contorni, è il volto di una ragazza col camice bianco che si mette proprio di fronte a lei. Le dice di spingere. Avrà la sua stessa età, più o meno. Che bella ragazza, pensa.
Oppure c’è la storia di un dottore importante, un ginecologo per la precisione. Sulla porta del suo studio c’è una targhetta col nome scritto in corsivo. Ha dalla sua anni di competenza, capacità e precisione.
Se lo è meritato, quel corsivo.
Adesso siede in disparte in sala parto e non farà nascere lui un bambino oggi, ma nel giro di poche settimane diventerà il medico primario del reparto di ginecologia dell’ospedale, dunque la sua presenza trasmette serenità a tutta l’equipe.
Sta pensando a suo figlio. Quella mezza sega di allenatore non l’ha fatto giocare nemmeno ieri sera, accidenti a lui. Ma se la sua espressione tradisce un’apparente distrazione, la realtà è che con la coda dell’occhio controlla con attenzione certosina ogni movimento dell’ostetrica. Si accorge immediatamente che qualcosa non sta funzionando, che la situazione è precipitata. In un attimo è operativo, sposta con fermezza la collega e cominciano lunghissimi minuti di alacre lavoro per far venire alla luce questo bimbo.
Vivo.
Il momento è critico, il suo viso è teso, l’atmosfera pesante. Avverte tutti gli sguardi addosso mentre cerca di far uscire quel corpicino. Con un colpo secco recide il cordone ombelicale.
E’ nato, respira.
Nessuno riesce a capire cos’abbia ma solo che le sue condizioni sono delicatissime. Il dottore lo prende e lo porta fuori dalla sala parto dando delle istruzioni precise agli infermieri. Occorrono degli esami e una diagnosi, con urgenza.
Ma c’è anche la storia di un giovane adulto. Ha venticinque anni, è sposato da pochi mesi e da qualche secondo è diventato padre. Non gli è mai capitato ma la logica gli suggerisce che quello che sta succedendo intorno a lui è tutt’altro che normale.
Non ci sono corridoi pervasi dalla nebbia dei sigari, o pacche sulle spalle dagli altri padri in attesa trepidante, le congratulazioni. Al loro posto un silenzio incerto di infermieri titubanti, un clima precario che di più non si potrebbe. Non ci sta proprio capendo un accidente. Verrebbe da prendere il dottore per il bavero di quel suo camice verdolino, sbatterlo al muro e chiedergli che cazzo sta succedendo. Non lo fa. Perché se c’è qualcosa che non va allora quel camice verdolino è anche l’uomo che può aggiustare le cose. Aggiustare suo figlio. Manco glielo hanno fatto vedere, il dottore lo ha preso, ha detto delle parole che naturalmente lui non ha compreso e l’ha portato con sé oltre la porta, di corsa.
Ne esce dopo qualche minuto un camice bianco, professore c’è scritto sul suo taschino. Lo avvicina e gli dice di tranquillizzarsi, che non c’è motivo di allarmarsi per il momento. Sua moglie sta bene, i medici stanno completando gli esami. Può darsi che il bimbo presenti un piccolo tumore al cervello, non è ancora detto, ma se si verificasse questa circostanza si dovrà operare con la massima priorità per asportare il morbo. Tutti stanno facendo il loro meglio, per il suo bambino.
E’ uscito per dirgli questo, e adesso deve tornare dentro.
“Va bene, professore. Grazie…”. Solo questo gli esce dalla bocca in quel momento. Un tumore al cervello e mi chiedono di calmarmi. Nel cervello di mio figlio. Lo vedo da solo che mia moglie sta bene. Non ne sapevamo niente, noi. A cosa servono i vostri esami e le vostre apparecchiature, allora?
E’ una fortuna che dopo qualche minuto sia proprio quel professore a varcare nuovamente la soglia, perché tutte quelle domande senza risposta lo stanno divorando. Prima però che lo possa investire con la sua miriade di interrogativi, preghiere, preoccupazioni e avvertimenti, è proprio questi che lo cerca con lo sguardo e lo avvicina. Le analisi hanno rovesciato la diagnosi iniziale, e scongiurato il pericolo di un tumore. Non c’è alcuna necessità di operare. E’ stato un parto complicato, il bimbo ha passato momenti difficili ed ha reagito molto bene, ora la sua situazione va normalizzandosi. I medici stanno effettuando degli esami ulteriori per capire cosa è successo, ma presto potrete vederlo.
Oddìo. Sì.
C’è la storia di una bella studentessa universitaria iscritta alla facoltà di medicina. Il suo libretto testimonia che è tra le più preparate del suo corso di ostetricia, ed i docenti concordano che sia una delle più portate. La materia le piace e si vede.
I suoi insegnanti sono medici importanti e l’ospedale è gestito dall’università, così gli studenti hanno l’occasione di respirare le corsie, assaggiare il loro futuro mestiere. Per questo ha scelto di studiare là, ha la possibilità di crescere in fretta.
Oggi toccherà a lei. Il suo professore ha deciso che è pronta, che può scoprire cosa vuol dire far nascere un bambino. Hanno studiato insieme la situazione, la cartella clinica parla di un parto podalico. Non si è girato dunque usciranno prima i piedi, ma non c’è niente che debba preoccuparla. Sarà solo un poco più impegnativo.
Si infila il camice. Nessuna inquietudine, ti sei preparata anche per quest’eventualità. E’ entusiasta. Ci siamo finalmente.
Entra in sala parto e saluta la ragazza stesa sul lettino. Avrà la sua stessa età, forse qualche anno di meno. Le si mette di fronte e le dice di spingere.
Piano piano, accompagnati dai gemiti e dalle urla della madre cominciano a uscire i piedini, l’addome, il cordone ombelicale. Messo in quel modo gli intralcia le manovre del parto perciò ne prende l’estremità per spostarla in una posizione meno scomoda.
Ma il perfido se ne stava quieto avvolto intorno al collo del bambino così adesso si stringe e Maledizione qui va tutto in malora cosa faccio che succede da lì non passa più niente, per dei secondi lunghissimi.
Una grossa mano l’ha già spostata con una spinta energica, un’altra più piccola prende la sua e la accompagna nella stanza adiacente. Si mette a sedere su una seggiolina in un angolo, le luci al neon sono ancora spente. Confusione. Buio. Di là è successo tutto un casino, lei lo sa e ne è l’unica responsabile. Adesso è sola e Ho ucciso quel bambino se non ce la farà ditemi che ce la farà adesso cosa ne sarà di me ditemi che è vivo sì che ce la farà ha paura, non sa cosa sta succedendo, non ne ha idea, può solo sperare con tutto il cuore che lo salvino. Altrimenti lo sa che anche se fosse con un solo pezzettino della sua anima, passerà tutta la vita a cercare di dimenticare questa giornata sciagurata. Perché tutti hanno il diritto di sbagliare. Tutti hanno il diritto di dimenticare. Ce la farà.
Potremmo raccontare pure la storia di un professore d’università. Un luminare. Che adesso sta correndo da una parte all’altra del reparto con delle copie di risultati in mano. Lo hanno chiamato d’urgenza, la sua studentessa ha avuto un incidente, non ha saputo dominare la situazione ed il parto si è complicato. Il suo collega ed amico è riuscito a far nascere il bambino, ma quest’ultimo ha subito delle conseguenze. Irreversibili. La responsabilità è tutta sua, se la sente addosso, la sua allieva non era ancora pronta ad una prova così difficile e lui gliel’ha affidata comunque. Ha commesso un errore e adesso dovrà decidere come rimediare.
Entra in una saletta buia, in un angolo su una seggiolina siede la sua apprendista, con la testa tra le braccia. Spinge l’interruttore, i neon ronzano e lentamente si accendono. Le si avvicina. Il bambino è vivo, la tranquillizza, non è asfissiato. Il cordone ombelicale gli si è stretto intorno al collo, per qualche secondo il sangue non è defluito verso il cervello e alcune cellule cerebrali purtroppo sono morte. Fortunatamente ne sono rimaste coinvolte solo alcune che coinvolgono la motricità, dunque con buone probabilità il bimbo potrà ugualmente crescere e condurre una vita normale.
“Come la tua” aggiunge.
Ha parlato con il collega. Suppone di essere l’unico ad aver intuito appieno come siano andate le cose. In ogni caso lui è la voce autorevole, e non parlerà. Il bambino è salvo ed egli sta per diventare primario del reparto di ginecologia. Non c’è alcuna ragione per mettere nei pasticci un amico. Ne l’ospedale, ne l’università sentono il bisogno di chiasso, pubblicità o richieste onerosissime di risarcimenti.
Si è trattato semplicemente di complicazione nel parto.
Per quello che riguarda lei, potrà serenamente concludere il suo percorso di studi e diventare un’ottima ostetrica, sarà sufficiente far passare la mareggiata e chiedere il trasferimento in un altro ospedale.
Complicazioni, solo complicazioni.
Torna di là. Alcuni minuti prima ha parlato con il padre. Bisogna che lo trovi e lo rassicuri con le novità che tiene strette nelle mani, assolutamente.
Infine c’è la storia di due genitori giovanissimi, che appannano un vetro rivolgendo il loro sguardo verso l’incubatrice. Di denunce, risarcimenti, non ne sanno proprio niente. Hanno solo voglia di sentirsi dire che il loro bimbo sta bene.
Tutti hanno una storia da raccontare.
La mia, è cominciata così.