Grafie D'autore RACCONTO




'Concorso Ragione e Sentimento' - RACCONTI
AMBRA VIVARELLI
'Ragione e Sentimento'


La musica passava dai tuoi occhi, accarezzava il tuo verde scuro, vi si poteva vedere le note, che dolci ti toccavano, e tu stavi lì. Esse passavano fra i tuoi capelli, e toccavano la tua voce, che con la musica formava la più bella melodia mai sentita, e tutto intorno, solo colori caldi in un infinito spazio d amore. Era diventato il profumo del buio, dove eravamo noi? Avremmo potuto essere ovunque, privi di luce, eppure eravamo noi, nell’ amore, nell’ amore più libero e assoluto. Erano i momenti più belli della mia vita, e li stavo vivendo con te, non c era un limite, non esisteva un confine. L’ emozione scorreva in un silenzio che faceva da sfondo a sospiri di un amore che girava dentro di noi, un amore che entrava dentro di me, nessuno in quel momento avrebbe voluto baciare, più di noi, in quell’ istante, solo noi nel mondo ci volevamo baciare in quella maniera, cosi tanto cosi forte, cosi senza fine, così. Pareva la cosa più strana del mondo, eppure nessuno li fermava da lassù o dalla terra stessa nessuno ha fatto in modo che lei smettesse di sentire quel profumo che pareva diabolicamente strano nuovo ed eccitante. Nessuno può fare niente quando entrambi vogliono così fortemente, nessuno può fare niente quando entrambi sanno che è così sbagliato. Perché l'aria degli innamorati è più fresca, è più buona, si respirano l'un l'altro fuori e dentro e si amano tanto che il loro brillare negli occhi pare un cielo di quelli caldi, afosi d'estate, sotto i quali essi ritagliano i loro migliori momenti fra una cornice di baci e respiri..
Incredibile l'amore, brucia e non si consuma mai. Chissà come mai, siamo cosi propensi alla malinconia, al ricordo. Chissà perché siamo cosi attaccati a quello che non ritorna e maggiormente a ciò che non possiamo assolutamente far tornare. Perché ci attacchiamo a posti che abbandoniamo per sempre e a persone che sono cambiate. Perché ci attrae una canzone che non dovremmo più ascoltare o una sensazione terribilmente vecchia ma incredibilmente forte? E perché ci sentiamo terribilmente soli nonostante tutti ci facciano compagnia, tutti, tranne l'unica persona a cui vorresti stare davvero vicino. La persona i cui oggetti hai dovuto seppellire.Il problema di quando chiudi qualcosa in una scatola è che prima o poi tornerai ad aprirla, e se anche non lo fai sai che là dentro c era c è e ci sarà sempre quel qualcosa che hai voluto nasconderci e anche se non tornerai ad aprila la odierai per il semplice fatto che nasconde quel qualcosa che non vorresti vedere più e che invece si fa sentire e si nota. Sono quelle cose di cui diciamo di poter smettere di desiderare quando vogliamo, quelle che: è solo stasera! E’ l'ultima volta! Oppure, ormai sarà anche la prossima! Non sono proprio quelle cose che ti creano un'ignara e assoluta dipendenza che porta ad un inevitabile tracollo..? Si, sono proprio loro, e quando le vivi però, danno una scarica incontrollabile. Alla fine ti rendi conto che quando facciamo qualcosa che il cervello vorrebbe vietarti, il cuore comincia a scalpitare e velocemente scansi la razionalità e con la foga metti in atto la tua azione cosi sbagliata, freneticamente, come se non potessi fare altrimenti proprio perché il cervello non vuole che tu lo faccia, hai la sensazione di doverlo fare velocissimamente di modo che nessuno se ne accorga, neanche te stesso. . Non capirò mai perché le cose reputate "sbagliate" qualunque esse siano, pur con un sottile dispiacere, le viviamo così volentieri, e quelle eticamente giuste invece ti lasciano sempre un retrogusto amaro di aver fatto una cosa così banale.
Infatti ci rendiamo deboli quando amiamo, siamo così parte di quella persona, siamo così tanto di quella persona che ne siamo dipendenti: ed ecco che come parti dello stesso oggetto, al malfunzionamento di uno anche l altro cede e tutto si distrugge e si trascinano entrambi giù' .Amare è difficile perché quando fai determinate cose è come se tu avessi preso una decisione per entrambi, e spesso l'altro non può far altro che subire e accusare. Ricordatevi di rendere felici sempre le persone che amate, non importano grandi cose, a volte bastano solo piccoli gesti, semplici accorgimenti. Non smettete di amare mai. Non smettete di avere voglia. Non smettete di sorridere mai con la persona che amate, non allontanate mai chi vi ha sempre voluto portare con sè.
Perché la vita è bella che neanche te ne rendi conto, che l'amore è cieco, ma sa portarti in posti indelebili, che il dolore è forte ma sa guarire e che non dovremmo privarci mai dello strumento principale, che è la felicità. Altrimenti si ricomincia da capo, come quando ti sbucci e viene la crosta, come quando ti mordi un labbro e ci vuole del tempo per non sentire più male, si ricomincia come un pugile che ritrovava sempre la forza di rialzarsi, si ricomincia felici, ma deboli. Si ricomincia.


ROBERTA BRANCATO
'UNA PERSONA UN PO’ SPECIALE'
Sono passati dei mesi da quando io e il mio ragazzo ci siamo lasciati.Non riuscivo a credere che abbia voluto rinunciare ad una storia durata un anno e due mesi nonostante le piccole incomprensioni incontrate, e per un viaggio in Cina di studio della lingua sul posto.Ho pianto per giorni, i ricordi della nostra relazione erano rimasti nella mente in modo esagerato dando l’impressione a me stessa di essere ancora innamorata.A bagnarmi gli occhi per lui sono andata avanti fino ad arrivare alla fine dell’Inverno di quell’anno.Nel periodo di ripresa dalla delusione stavo sentendo una persona tramite un nuovo programma di Internet: facebook. All’inizio della conoscenza non do molta fiducia agli estranei perché sono sconvolta da tutto quello che accade attraverso programmi come questo, per strada, in casa per colpa di persone non affidabili e pericolose. Ad un certo punto l’individuo mi manda un messaggio per posta che dice: io sono una persona che vuole conoscere gente nuova non sono un maniaco. Mi sono un po’ tranquillizzata.Faccio passare altri giorni e tra paura, diffidenza, voglia di conoscere quella persona, confusione e cautela decido di vederla accettando il suo invito ad uscire: in centro Schio c’era l’evento “premiazione di Miss America anni 50”.Dopo averla attesa la serata è arrivata.Dobbiamo vederci in Piazza Falcone-Borsellino alle nove: sono in confusione, agitata non capisco nemmeno il perché mi sono fatta così bella ed elegante. Indosso un paio di pantaloni bianchi, una maglietta a maniche corte colore sabbia, un copri spalla bianco e ho i capelli lunghi e sciolti.Nel mio viaggio verso la Piazza l’agitazione è alle stelle. Mi domando se viene, se è puntuale, se mi vuole vedere solo per amicizia o cosa, se viene da sola o in compagnia. Ogni tanto guardo l’orologio e aumento il passo per paura di arrivare tardi.Sto percorrendo un portico che sbocca sullo spazio aperto. Mi sono subito preoccupata perché penso che sia una presa in giro e ho timore che non sia venuta. Man mano che mi avvicino il cellulare suona: è lei.C: “Dove sei?”IO: “Sto arrivando”C: “Sono sotto il palco”Il mio dubbio si dilegua.Prendo sicurezza e mi dirigo verso il palco: la cerco, non la trovo. Mi avvicino ancora un po’ e la vedo: ha una felpa bianca, dei jeans neri, la testa lucida. La guardo meglio e esprime un certo fascino:C: “Piacere di conoscerti mi chiamo Christian”IO: “Piacere mio mi chiamo Roberta”.Rimaniamo lì per un po’ e poi decidiamo di andare a fare un giro per il centro e conoscerci a tu per tu.Verso la fine della serata ci fermiamo al bar “da Mauro” a pochi passi dalla piazza: parliamo, ridiamo, scherziamo, ascoltiamo musica fino a quando inaspettatamente mi siedo sulle sue gambe. Quel contatto corporeo, le sue mani, i suoi occhi, la sua bocca accendono in me una forte emozione e sento che sta per accadermi qualcosa di speciale.Guardandolo dritto negli occhi mi accorgo che le sue labbra si avvicinano a me in maniera vertiginosa: in un momento mi sono lasciata trasportare da quella dolcezza permettendo al cuore di aprirsi. Quando il bacio termina il mio volto prende un’espressione di stupore e nello stesso tempo di preoccupazione.Preoccupazione perché dubito ancora di lui.Qualche giorno dopo l’ho invitato a Padova per un concerto dei Subsonica grazie ad un messaggio di mia sorella e non capisco il perché.
In questa serata io e lui ci siamo messi d’accordo così: lui viene in macchina e io vado a Padova in treno dove mia sorella mi aspetta alla stazione.
Una volta lì mia sorella, il suo ragazzo ed io attendiamo Christian per le sette e mezzo ora di cena, per poi andare al concerto delle nove: ora stabilita dal gruppo musicale.
Sono fuori in terrazzo. Guardo la strada per vedere se arriva una macchina nera con il marchio Alfa; con il cuore in subbuglio e gli occhi limpidi di felicità, finalmente lo vedo arrivare. Entro e avverto Marta e Matteo che lui è giunto a destinazione.
In quel momento di cena la sua compagnia fa nascere in me delle emozioni. Quando mi giro a guardarlo il suo volto è circondato di luce, i suoi occhi mi mandano messaggi d’amore, il suo sorriso è sereno, il fascino che esprime suggerisce che è impossibile non amarlo.
Immersa nei suoi occhi, penso al concerto perché percepisco in lui il potere di rendere ogni cosa speciale.
Qualche ora più tardi la compagnia si trova in strada su otto ruote e si dirige verso lo stadio Euganeo, ma all’entrata non c’è posto. Gira le macchine e parcheggia non poco distante dallo stadio.
È in strada e a piccoli passi si avvicina al concerto: davanti a me e Christian ci sono mia sorella e Matteo.
La sera è limpida, la strada è un po’ trafficata, l’erba e gli alberi sono mossi dal vento piacevole dell’Estate. Christian ed io siamo mano nella mano come se fossimo già insieme anche se è poco sento che per me vuol dire tanto.
Percorriamo un po’ di strada e finalmente giungiamo a destinazione: all’entrata ci sono file di gente che aspetta di pagare il biglietto, altre sono al banco a prendersi qualcosa da bere e davanti a noi sono presenti trenta persone.
Mentre aspettiamo il turno, parliamo tra noi e al momento del pagamento i maschi offrono l’entrata a noi donne. In questo istante il mio pensiero è un sorriso.
Dopo il biglietto si arriva alla parte centrale della serata.
Molte persone sono in piedi ma noi quattro abbiamo una coperta: dopo averla appoggiata al terreno erboso, ci sediamo su di essa.
La musica fa eco allo stadio, la gente è scatenata, bicchieri di aperitivi volano in aria e cadono a terra, Christian ed io siamo lì ma non sembra interessarci il concerto: ci guardiamo, stiamo in silenzio, ci abbracciamo, ci teniamo per mano, ci parliamo ascoltando i battiti del cuore che ci rendono timidi ai nostri sentimenti.
Più volte ho pensato di baciarlo ma è giusto che sia il ragazzo a farlo per primo.
Dopo a lungo guardati, di nuovo le sue labbra sono sulle mie: provo emozioni intense, il desiderio lo sento di più, con dolcezza lo stringo a me. La cosa di noi inizia a piacermi.
Appena l’ho guardato di nuovo, non ho temuto più nulla e sono finita sulle sue labbra; dal bacio ho sentito la sua vera intenzione: amarmi.
Dopo quei baci scambiati al concerto la nostra situazione appare chiara: ci piacciamo.
A frequentarci continuiamo fino al dieci Luglio data da non scordare.
Il dieci Luglio 2011 dopo avere chiacchierato un po’ e scambiato qualche bacio in più, Christian mi prende e mi stringe la mano: sta per chiedermi qualcosa.
Girandosi verso di me con il viso e gli occhi sui miei chiedendomi: “Vuoi diventare la mia ragazza?”
In questo momento il mio cuore diventa rosa e la voglia che ho di stare con lui aumenta improvvisamente.
Con un semplice sì di testa e dalla gioia che mi circonda, mi sono tuffata sulle sue labbra abbracciandolo: la scala dell’amore per noi è iniziata.
Siamo insieme da quasi un mese quando avviene una cosa a noi molto famigliare: la volta di dirci ti amo in un’altra maniera.
Ci troviamo a casa mia sul letto posto per il mio sonno, ci parliamo, ci coccoliamo e ci baciamo.
All’improvviso la voglia si fa sentire. Da una parte volevo farlo ma dall’altra non mi sentivo pronta. Ci fermiamo per un momento. Sento il suo sesso muoversi sopra il mio: la goccia che fa traboccare il vaso. Inizia a baciarmi, ad accarezzarmi, a scendere con la mano verso il mio sesso per toccarlo, mi bacia il seno e mi fa venire una voglia incontrollabile. In questo momento iniziamo a spogliarci.
I suoi movimenti, il suo viso e i suoi baci mi fanno sentire amata. Non cedo. Inizio a passare la mia mano sul suo corpo e arrivo all’intimo: tocco le sue parti più deboli e sento il suo eccitamento.
Un minuto dopo ci si trova a fare il passo definitivo.
Con cautela e attenzione seguendo la voglia entra in me.
All’inizio tremo un po’ perché non ho mai sentito un piacere così delicato, ma poi senza paura mi lascio trasportare.
Sento il suo sesso dentro di me muoversi con passione, il suo respiro è di piacere, le sue mani mi sollevano un po’ e mi avvicinano al suo addome: la passione è più forte; la sento così tanto, che non posso fermare il mio godimento.
La parte più bella delle storie d’amore finisce.
Ci sentiamo sereni nell’anima, abbiamo gli occhi pieni di luce, i cuori battono e una dolce parola esce dalle nostre labbra: ti amo.
All’inizio del nostro incontro non pensavo di innamorarmi ancora ma ora, ora che ci sto insieme, posso dire: sono di nuovo innamorata e stavolta è per sempre.


Ecco ho raccontato gli avvenimenti che più mi hanno fatto emozionare.
Con questa persona sono insieme da un anno ormai e non finisce mai di sorprendermi.
Mi ha fatto passare molte paure, mi ha dato il coraggio di voltare pagina, mi ha dato la tenacia e la sicurezza di cercare lavoro conquistando totalmente la mia fiducia. Ora si sta avvicinando il momento di convivere annunciato con due semplici fedine d’argento.
Ogni bacio che mi dà tuttora è come il primo.


Prima di allora non ho mai amato così intensamente un uomo.




FRANCESCO CACCIANTE
'SFERE'
We can walk our road together
If our goals are all the same
We can run alone and free
If we pursue a different aim
Let the truth of love be lighted
Let the love of truth shine clear
Sensibility
Armed with sense and liberty
With the heart and mind united in a single
Perfect
Sphere”
(Rush “CygnusX-1, BookII: Hemispheres [V:The Sphere]”)

Due uomini camminano per strada. Uno dei due si volta. Torna indietro. Si china. Poi scappa.
* * *
«Ti dico che è stata una scena strana, incomprensibile»
«Io non mi sono accorto di nulla, devo esser sincero»
«Eppure è come ti dico!»
* * *
Due uomini camminano per strada. Uno sul marciapiede destro, uno sul marciapiede sinistro. Quest'ultimo più avanti rispetto all'altro. Sempre quest'ultimo si volta e, con una breve corsettina a capo basso, torna indietro di qualche metro e si china. Si rimette in piedi velocemente e poi scappa, questa volta come se avesse il diavolo a leccargli i talloni, nella stessa direzione in cui stava andando.
* * *
«Cristo santo, ti dico che li ho visti»
«Sono quasi sicuro di quello che dico»
«Io senza quasi»
«Scusa se mi intrometto ma anch'io concordo lui»
* * *
Due uomini camminano per strada.
Uno dei due cammina sul marciapiede destro, il lato della strada pieno di bar e ristoranti ma con pochi clienti, ed è comprensibile vista l'ora. I pochi avventori sono per lo più ammazzettati in gruppetti di tre o quattro pensionati, avvinazzati e con le gote rosse, che si ritrovano ritualmente tutti i giorni per chiacchierare a pancia piena del tempo e del governo.
L'altro uomo cammina sul lato sinistro della strada. Sul suo lato si affaccia una sfilza di negozi di elettrodomestici e di elettronici vari. Data l'ora, le saracinesche sono abbassate ma si possono vedere distintamente gli articoli esposti nelle vetrine. Aspirapolveri, lavatrici, lavastoviglie, frigoriferi, macchine per il ghiaccio, tritaghiaccio, spremiagrumi, aspirabriciole, asciugatrici, ventilatori, condizionatori, rasoi, frullatori, friggitrici, portacravatte elettrici. L'uomo a un certo punto si volta. Il punto è all'altezza di un comunissimo televisore.
* * *
«Due!»
«Uno!»
«Due!»
«Uno!»
«Si, uno anch'io»
* * *
Due uomini camminano per strada. La cosa bella nello scrivere, è che lo scrittore detta le regole. Manipola e indirizza la mente del lettore dove lui (lo scrittore) vuole che vada. È come un gioco di prestigio. Il lettore comincia a leggere allettato dalla promessa, ma la verità è che si rimette completamente al bilancino dello scrittore; in altre parole, come in un gioco di prestigio, vuole essere ingannato. E se due uomini camminano per strada, allora, che male c'è, non camminano forse tutti i giorni milioni di persone per le strade di tutto il mondo. Ma in un racconto c'è l'esclusiva, l'inganno. E quindi se si dice che due uomini camminano per strada, lo si dice perché si vuole che chi legge osservi che sono questi due uomini a camminare per strada. Nello stesso momento il mondo brulica di passi, ma in questo racconto ve ne sono solo quattro, ovviamente uno per ogni piede, per questo quattro, se gli uomini che camminano sono due.
* * *
«Allora mi par di capire che abbiamo un problema. State facendo baccano da mezz'ora e  infastidendo gli altri clienti»
«Ci siamo solo noi, quali altri clienti?»
«La questione è delicata. Non mi è mai capitato di assistere ad una discussione del genere. È del tutto inverosimile. Tanto più che dovrebbe essere chiaro quello che è successo. Non ci possono essere più spiegazioni»
«Per una volta che non si parla di calcio o di politica!»
«Esatto, quello che succede, succede. Non può mica fare come cazzo gli pare con ognuno, mi riferisco a quello che succede, ovvio»
«Bisogna capire se la teoria deve adeguarsi ai fatti, o se sono i fatti a doversi adeguare alla teoria, mi pare»
«L'ho risentita anch'io questa cosa. Ho sempre pensato che fosse un'emerita stronzata»
* * *
Per non parlare delle relazioni interpersonali. Ovvero, se due uomini camminano per strada, o meglio, se sono così importanti due uomini che camminano per strada, tanto da dedicargli un racconto, vorrà dire che da qualche parte deve esistere un legame fra questi due. Si potrebbe seguire la pista carnale, potrebbero essere parenti, o amici. Oppure il tutto potrebbe essere più noir e allora l'uomo che cammina a destra potrebbe pedinare quello che cammina a sinistra, forse un intrigo internazionale. O un investigatore incaricato di scoprire se l'uomo che sta seguendo è effettivamente il traditore fedifrago che la sua cliente ha descritto. O ancora, la moglie lo sa già che il marito è effettivamente il traditore fedifrago et caetera, ed ingaggia un sicario per liberarsi di lui; seguendo la pista passionale, e con una buone dose di disturbi neurologici a carico della cornuta, lo scenario è credibile.
***
«Adesso vi racconto com'è andata»
«Quello che hai visto tu»
«Com'è andata. Eravamo qua fuori, come sempre. Io stavo bevendo una grappa, lui un limoncello e lui un amaro alle erbe. Sul tavolino c'erano i numeri di stamattina della gazzetta e del nazionale. Titolo in prima pagina sulla gazzetta il flop della partita di ieri sera, sul nazionale le ultime manovre del governo. Quello che se n'era andato due minuti prima portava una camicia celestina e i pantaloni beige. Vi dico queste cose per dimostrarvi che la memoria non mi fa cilecca ancora, nonostante l'età. Ad ogni modo. C'era questo signore che camminava sull'altro lato della strada. Che poi par d'esser scemi a ragionare di una cosa così. Che la gente cammina sempre per strada. Ma insomma ora è venuto fuori questo disaccordo, parliamone. Insomma il punto è che questo qui all'improvviso torna indietro e poi non si capisce cosa succede, scappa. Con quanto fiato ne ha! Proprio così!»
«Ma scusa, ti sembra che uno comincia a correre nel mezzo di strada, un uomo, non un ragazzino, così dal nulla? Gli dev'essere successa qualcosa»
«Non può essere semplicemente che si è accorto di essere in ritardo?»
«Non era la corsa di uno in ritardo. Aveva un che di-»
«Disperato?»
«Esatto! E poi c'è un'altra cosa che non capisco. Cioè, prima di scappare era tornato indietro lungo la strada»
«Suvvia, avrà fatto un po' di confusione, probabilmente gli sono venute in mente un sacco di cose da fare, ha avuto un po' di esitazioni e poi, quando si è accorto dell'ora, ha perso il capo e se n'è andato a gambe levate»
«Qualcuno l'ha visto chinarsi a terra? Qualcuno ci ha fatto caso che prima di scappare si è chinato a terra?»
«E allora? Si sarà riallacciato le scarpe!»
«No gente, siete tutti fuori strada»
***
Sembra quindi chiaro che ci siano questi due uomini che camminano per questa strada. È chiaro che camminano ad una distanza, che non dev'essere breve, ma neanche incolmabile, l'uno dall'altro. È chiaro che uno cammina sul lato destro della strada. È chiaro che l'altro cammina sul lato sinistro. È chiaro che l'uomo sulla destra è quello più indietro. È chiaro che quello che cammina a sinistra si volta e torna indietro. È chiaro che poi si ferma e si china. È chiaro che scappa. Non è chiaro perché.
***
«Credo vi sia sfuggito un particolare. Perché l'uomo sarebbe tornato indietro?»
«Illuminaci»
«Semplice, perché qualcuno l'ha chiamato. Allora si è girato ed è tornato indietro»
«Si, e poi è scappato»
«Forse era un creditore»
«Io, se mi fosse scappato davanti, l'avrei inseguito»
«E rimane il dubbio sul perché si fosse chinato»
«Lui prima ha detto che si poteva esser riallacciato le scarpe, perché no?»
«Io se l'avessi visto chino in terra, gli sarei piombato addosso e gli avrei mollato uno sganassone sul muso»
«In ogni caso, se mi fate il piacere di farmi finire, l'uomo che è passato qui davanti l'ha chiamato, non dicevo cose a caso, e solo allora quell'altro s'è girato»
«Quale uomo?»
***
Che poi è vero che ci sono questi due uomini che camminano per strada. Ma è anche vero che finora lo scrittore ha posto l'accento solo sull'uomo a sinistra, sul fatto che si gira, che si china e poi scappa. Come se l'uomo a destra non facesse niente. Ma ovviamente non è così. Ovviamente anche l'uomo a destra ha la sua parte, il suo ruolo, in questo racconto. È stato detto anche prima. Se lo scrittore dice che ci sono due uomini, vuol dire che questi due uomini fanno qualcosa. A questo punto allora la scelta che dovrebbe avere il lettore dovrebbe essere se continuare a seguire l'uomo a sinistra, ed aggiungere così qualche altro frammento, spezzone, informazione, a ciò che fa, oppure se cambiare soggetto e cercare di capire il ruolo dell'uomo a destra.
Anche stavolta è lo scrittore a decidere. Quando l'uomo a sinistra si china, raccoglie qualcosa. Il portafogli per l'esattezza.
***
«Devo dir la verità. Io il tizio che scappa via, proprio non l'ho visto. E non riesco sinceramente a capire perché tanta pena e attenzione per lui, quando quello che è passato qui davanti urlando a squarciagola, mi sembra molto più interessante»
***
Sembra quindi chiaro che ci siano questi due uomini che camminano per questa strada? È chiaro che camminano ad una distanza, che non dev'essere breve, ma neanche incolmabile, l'uno dall'altro? È chiaro che uno cammina sul lato destro della strada? È chiaro che l'altro cammina sul lato sinistro? È chiaro che l'uomo sulla destra è quello più indietro? È chiaro che quello che cammina a sinistra si volta e torna indietro? È chiaro che poi si ferma e si china? È chiaro che scappa? Non è chiaro perché?
***
«Ma com'è possibile non vedere uno che ti passa davanti urlando a squarciagola?»
«Cosa urlava?»
«Non lo so»
«Secondo me te lo sei sognato»
«Secondo me te lo sei sognato tu, il tizio che scappa»
«Certo, mentre invece quello che urla per strada ti sembra normale»
«Trovami il motivo per cui invece quello che dici tu, di punto in bianco debba cominciare a correre come un ossesso»
«Ma la mia idea proprio non vi piaceva?»
«Quale sarebbe?»
«Il tizio che è passato qui davanti ha chiamato l'altro tizio, quest'ultimo lo vede, si impaurisce per qualche motivo e scappa via. Potrebbe essere una spiegazione»
***
Compito di uno scrittore sarebbe, quanto meno, quello di raccontare una storia. E se due uomini camminano per strada, le possibilità sono, se non illimitate, almeno molto numerose. E normalmente è una di queste possibilità ad essere raccontata.
Quale legame può esserci fra questi due, se non che magari ad un certo punto l'uomo a destra nota qualcosa, un portafogli a terra, urlando poi un semplice, scusi le è caduto il portafogli, e l'altro uomo torna indietro e lo raccoglie chinandosi.
Ciò che l'uomo distratto non avrebbe mai potuto prevedere, era che alzando lo sguardo, azione dettata forse dalla volontà di ringraziare, una volta raccolto l'oggetto smarrito, avrebbe visto i suoi stessi occhi fissarlo dall'altra parte della strada.      

SIMONA LAZZERI
'Il limite'


Antonio andò al mobile bar e prese una bottiglia di Lagavulin. Se ne versò un generoso
bicchiere e tornò davanti alla finestra, studiando lo splendente giallo dello scotch. In quel
momento avrebbe tanto voluto essere Restless Peter e avere un’idea geniale per evitare il
tracollo. Una sua personale miscela White Horse.
Si portò il bicchiere alle labbra e buttò giù il Lag, accogliendone il potere tenebroso. Quindi
tornò verso la sua scrivania e gli occhi gli caddero sulla foto che lo ritraeva insieme ai suoi
due migliori amici. Prese la sedia e si sedette, prendendo in mano la cornice e guardando
quel trio con affetto.
Carlo Dilani, Le sofferenze delle banche. E quelle delle imprese, La voce.info, 17/05/2012
«[…] La flessione della dinamica dei crediti non rimborsati fa da contraltare alla flessione
alla consistenza dei finanziamenti erogati alle imprese. […] Il continuo deterioramento del
portafoglio crediti sta minando lo stato di salute dei bilanci di molte banche italiane. […] La
reazione dei grandi gruppi [bancari] sembra […] essere quello di restringere i cordoni del
credito per evitare un ulteriore peggioramento del loro portafoglio crediti. […] Succede
quindi sempre più spesso che imprese solide, ma il liquide, vengano portate al fallimento
dalla chiusura dei rubinetti del credito, mettendo in moto un circolo vizioso che coinvolge
fornitori e clientela delle aziende fallite, e facendo in ultima istanza incrementare
ulteriormente le sofferenze bancarie. […]».
Eccolo lì, Riccardo, impossibile non notare quella pertica di un metro e novanta centimetri
tra loro due “nanetti” di un metro e settantacinque di media. Non per niente era un cestista
nato – almeno fino a quando non aveva smesso e lui, Antonio, non l’aveva preso a
lavorare con sé. Doveva pur mettere la testa a posto, no? Sua madre glielo ripeteva
sempre: il basket – anzi, la pallacanestro – non era un lavoro, era un gioco che i ragazzini
facevano dopo la scuola. Che gli era saltato in mente quando aveva annunciato che
avrebbe fatto il giocatore professionista? La povera donna non aveva mai smesso di
scuotere la testa fino a quando Riccardo non si era ritirato ed aveva iniziato un “vero
lavoro”. Da allora Antonio si era guadagnato la sua eterna gratitudine e dei biscotti favolosi
fatti in casa che gli mandava puntualmente ad ogni festività. La gratitudine era
rapidamente passata all’adorazione dopo che Riccardo si era trovato una brava ragazza –
Cinzia –, l’aveva sposata e ci aveva fatto due figli, Luca e Anna. Il maggiore adesso aveva
sei anni e ormai lo si vedeva correre entusiasta, zainetto in spalla, verso l’ingresso della
scuola elementare. Anna, invece, di due anni più piccola, trotterellava ancora verso l’asilo
facendo ondeggiare i codini biondi che le davano un’aria irresistibilmente sbarazzina.
E lui avrebbe stroncato tutto questo – la leggerezza, la fiducia, la stima.
Audizione sul Documento di Economia e Finanze 2012 del Presidente della Corte dei
Conti Luigi Giampaolino presso le Commissioni Bilancio riunite di Camera e Senato, 23
aprile 2012
«[…] In una logica di finalizzazione alla crescita, la spending review deve rendere possibile
non solo la riduzione della spesa, quanto la sua migliore distribuzione (in primis a favore
degli investimenti) e il conseguimento di più elevati standard di efficienza, individuando
nello stesso tempo distorsioni strutturali connesse ad assetti organizzativi da
drasticamente riconsiderare […]».
All’estremità sinistra della foto c’era Edoardo. Mamma mia, Edoardo! Ogni giorno,
cascasse il mondo, colazione da Bruno prima di andare a lavoro. Politica, calcio, famiglia, donne, film… non c’era argomento che non avessero trattato davanti ad un buon caffé.
Senza zucchero Antonio, una bustina per Edo. Se avesse raccolto quelle loro
conversazioni, adesso avrebbe in mano la loro biografia, o perlomeno la cronaca degli
effetti delle loro vite sui loro pensieri. Si andava dalla spensierata onnipotenza di quando
avevano iniziato a lavorare insieme alla tacita constatazione della propria fragilità negli
ultimi cinque anni. Edoardo era pieno di dolori – di artrosi e artrite dicevano i dottori, così
aveva cominciato cure e interventi, ma niente, quei maledetti dolori erano sempre lì. Aveva
sentito diversi pareri medici, ma per adesso non c’era stato nessun vero miglioramento.
Edo si meravigliava sempre che la medicina fosse una scienza. La scienza, diceva,
dovrebbe essere qualcosa di certo, matematico: se x sta a y e y sta a z, allora x sta a z.
Invece, dieci dottori gli avevano dato dieci pareri e soluzioni diverse. E intanto fioccavano i
soldi. Certo, perché mica potevi andare alla mutua: quelli manco ti guardavano – nel
migliore dei casi – oppure dovevi aspettare mesi, se non addirittura un anno per farti
visitare – nel peggiore. Ecco di cosa avevano finito per parlare di fronte a quel caffé: dello
schifo della sanità, dai dottori raccomandati ai tagli che scoraggiavano anche il più
motivato dei medici.
Come poteva togliergli anche la possibilità di curarsi?
Istat: Occupati e disoccupati (dati provvisori)
«Ad aprile 2012 […] il numero dei disoccupati, pari a 2.615 mila, cresce dell'1,5% (38 mila
unità) rispetto a marzo. Su base annua il numero di disoccupati aumenta del 31,1% (621
mila unità).
[…] Tra i 15-24enni le persone in cerca di lavoro sono 611 mila. Il tasso di disoccupazione
dei 15-24enni, ovvero l'incidenza dei disoccupati sul totale di quelli occupati o in cerca, è
pari al 35,2%, in diminuzione di 0,8 punti percentuali rispetto a marzo ma in aumento di
7,9 punti su base annua».
Antonio posò la foto dei suoi migliori amici e prese quella della sua famiglia. Sua moglie gli
restituì uno sguardo felice e orgoglioso mentre abbracciava le loro due figlie, Sabrina e
Giorgia. Aveva sempre saputo che Daniela sarebbe stata un’ottima madre. Ferocemente
protettiva e maestra di vita rigorosa. E come moglie, be’… era ancora con lui nonostante il
mondo intorno a loro stesse cedendo. Inutile che Daniela lo rassicurasse, quella maledetta
crisi avrebbe finito per spazzarli via. Anche Sabrina, che studiava economia all’università e
non vedeva l’ora di venire a lavorare con papà. Dio, era stato così orgoglioso di lei quando
glielo aveva detto. E quanto entusiasmo ci metteva! Aveva una valanga di idee. Ma senza
i finanziamenti delle banche erano solo fragole per gatti, secondo una delle nuove
espressioni coniate da Giorgia. Una tipa stravagante, Giorgia: adesso era fermamente
determinata a coniare nuove espressioni e modi di dire. Diceva che i cambiamenti nel
mondo dovevano avere inizio da un cambio di prospettiva degli esseri umani. Giorgia,
Giorgia… se Sabrina voleva seguire le sue orme, Giorgia era sempre stata la ribelle.
Cortei ambientalisti, pacifisti, in favore della legalità, in favore degli studenti… e lui e
Daniela a casa a morire d’angoscia finché non tornava a casa.
Non voleva togliere a Daniela la sua solidità.
Non voleva togliere a Sabrina il suo futuro.
Non voleva togliere a Giorgia il suo idealismo.
Ogni uomo ha un limite oltre il quale non può andare. Non importa quanto sciocco o privo
di senso sia questo limite. Il punto è che quell’uomo non può oltrepassarlo senza esserne
annientato.
Antonio prese la pistola dal cassetto e si sparò. «Soltanto gli ottimisti si suicidano, gli ottimisti che non possono più esserlo. Gli altri, non
avendo alcuna ragione per vivere, perché dovrebbero averne una per morire?».
Emil Cioran, Sillogismi dell'amarezza, 1952
T******** – Ancora una vittima della crisi economica, ancora una storia di profonda
disperazione. Antonio C*****, 54 anni, titolare di un’impresa edile, si è ucciso ieri sera nel
suo ufficio sparandosi un colpo di pistola alla testa. L’arma era regolarmente detenuta.
Massimo riserbo da parte della famiglia. L’imprenditore lascia sua moglie e due figlie, una
delle quali ancora minorenne


EMANUELE MILASI
'IL QUADRATO SEMIOTICO'


“Sono sola e mi annoio. Vieni a vedere Reinette e Mirabelle a casa mia?”
Un messaggio che arriva mentre leggo un libro di Greimas, nel bel mezzo del quadrato semiotico.
Proprio mentre cercavo di decifrare un simbolo che mi sembrava provenisse da un antico linguaggio
del pleistocene e pregustavo già una battaglia di tirannosauri qui, in mezzo alla biblioteca.
E invece il messaggio, una vibrazione leggera sulla coscia, dentro la tasca del jeans.
Prendo il cellulare e come sempre mi cade a terra.
Tutti si girano a guardarmi, come se non aspettassero altro che vedere il mio cellulare schiantarsi sul
pavimento, aprirsi in due e obbligarmi a piegarmi goffamente sotto il tavolo.
Raccolgo il telefono, faccio un sorriso ai miei colleghi che hanno già gli occhi immersi nei libri, come
se non fosse successo niente, ma pronti a scattare al prossimo cellulare distrutto.
Monto la batteria, il cellulare mi chiede la data e l’ora.
Io non so che giorno è, forse un Martedì, ché domani ho lezione di Latino. Ma potrebbe anche essere
Venerdì. E soprattutto non so che ora è. Mattina, sicuramente, ma non so da quanto sono sveglio. Se gli
sbadigli avessero una funzionalità temporale, allora sarei qui da un’eternità.
Per non sbagliarmi metto tutti uno. Sono le undici del’1/1/1111
Siamo in pieno medioevo.
Leggo: “1 nuovo messaggio”.
Lo apro.
Quando sullo schermo appare Giulia col pollice faccio come ad accarezzare.
E lo leggo: “Sono sola e mi annoio. Vieni a vedere Reinette e Mirabelle a casa mia?”.
Eccolo il mio medioevo, proprio quando credevo di aver vinto l’ennesima crociata.
Reinette e Mirabelle. E a me viene in mente una piccola sala cinema abusiva ricavata in un sottoscala,
io che mi sedevo dietro lei per perdermi in quella curva che le disegnava le orecchie fino al mento, in
quei capelli che invadevano lo schienale, che lo assaltavano, lo costringevano alla resa. Quei capelli
che mi andarono in faccia quando lei si girò di scatto e mi disse: “io sono Giulia, ma tu chi sei?”
E da lì io che le sedevo accanto e le davo la mano, poi le labbra, davanti a noi un film russo senza
sottotitoli, negli occhi un bambino che viene buttato da un palazzo, attorno un sussurro strano, come di
voci lontane.
Distesi sul letto eravamo noi e le sue teorie, Lars Von Trier che ha rovinato il cinema europeo, gli ebrei
che hanno conquistato Hollywood. Io ascoltavo, perché sapevo che avrei avuto il mio premio, che
avevo già il mio premio, che nessun premio poteva avere consistenza migliore di lei.
La prima cosa che faccio è cancellare il messaggio, come ho fatto mesi prima con la miriade di sms che
hanno scandito un’intera vita. Ogni messaggio cancellato era pezzo di carne che sanguinava. L’ultimomessaggio, quello prima di Reinette e Mirabelle, lo ricordo ancora. C’erano scuse, lettere scivolate via
a riempire spazi vuoti, e infine: “forse hai ragione, forse è meglio il silenzio”.
Allora perché Reinette e Mirabelle? Perché ora?
La seconda cosa da fare è andare da Nina. E ci vado. Mi siedo sullo sgabello del bancone, così alto che
i piedi penzolano e puoi sentire il vuoto sotto di te. Nina mi dà una Moretti, la stappa, mi versa la birra
in un bicchiere. Non dice niente, è incantata a guardare il nuovo schermo ultra piatto che si è comprata
da poco. Ma non ha ancora il decoder digitale, quindi guarda la televisione spenta.
Nina, immobile, guarda il nero.
Io bevo, piano. Osservo Nina, il suo volto ferito dagli anni, le sue rughe che sembrano aggrappate al
volto, il collo corto, raggrinzito. Potrebbe avere cinquant’anni. Potrebbe averne centocinquanta.
“Cambiamo, sempre da Nina dobbiamo andare.” mi diceva Giulia.
Ma avevamo trovato un compromesso: io sceglievo i bar, lei i film.
Finisco la birra, pago. Nina mette i soldi in cassa senza staccare gli occhi dalla tv.
“Chissà come sarà bello vedere Emilio Fede qui.”
“L’hanno cacciato Emilio Fede.”
“Tornerà. Tutto torna sempre.”
La terza cosa sarebbe andare a casa, ma oggi il mio coinquilino Mario non ha lezione.
Quindi sarà lì, in cucina a giocare alla playstation sentendo Emma Marrone e cantando Emma
Marrone. O peggio, sarà nella sua stanza con la ragazza e faranno l’amore urlando come ossessi per
farsi sentire da tutti i residenti. Che poi Mario dura si e nò due minuti, ma deve comunque sbraitare
come nei film porno, in modo che possa poi uscire al balcone e sorridere sereno ai vicini che lo
guardano schifato.
Non potrei resistere, né a Emma Marrone né all’audio pornografico.
Mi rimane solo un altro luogo dove poter andare, così grande e pieno di gente da essere il luogo più
triste della città: la piazza storta.
La chiamano la piazza storta perché è uscita male, voleva essere un cerchio perfetto, alla Giotto, ma la
piazza si allunga inspiegabilmente alle estremità, diventando come un uovo, un uovo di quelli che ha
due tuorli dentro.
La cosa strana della piazza storta è che ci sono le panchine solo alle estremità, al centro è vuota, ma
proprio vuota, si sono persino dimenticati di mettere la pavimentatura, c’è solo del terriccio di colore
marrone.
All’esterno sono seduti gli anziani, al centro i giovani. E quando i giovani si rialzano si scrollano via il
terriccio colpendosi a mano piena nel di dietro. È una piazza da pacche sul sedere.
Mi siedo a terra, sulla terra, mi fisso a guardare per un po’ i piccoli muschi sporchi che resistono
stoicamente ai nostri sederi.
Poi mi distendo, guardo quel cielo sempre triste, guardo me.
“Che fai disteso, ti abbronzi mica sai?”.
Mi giro. Filomena detta Filo, con il suo cappotto lungo da studente di economia.
Ci siamo conosciuti un anno fa alla focacceria, non le bastavano i soldi per prenderne una con lezucchine e pagai io.
Mi disse che ero un cafone, perché la stavo trattando da pezzente. Io le dissi che l’indomani mi avrebbe
ridato i soldi. Allora aggiunse che ero un doppio cafone, perché non si chiedono soldi ad una ragazza.
Da quel momento non potevo che adorarla.
“Che fai?” chiede.
“Non so, tu che dici?” ribatto alzandomi.
Lei mi da una pacca sul sedere per pulirmi del terriccio, poi comincia a parlarmi di vettori e di rette che
non si intersecano mai. Io non capisco nulla, mi perdo nei suoi occhi neri che a seconda delle quantità
di nuvole che si riflettono sopra diventano ora marroni, ora verdognoli, ora bellissimi.
“Vieni a vedere Reinette e Mirabelle a casa mia?” la interrompo.
Lei mi fissa dubbiosa.
“Chi devo vedere?”
“Non chi, cosa. È un film, un film francese”.
Lei riflette, poi dice sì con la sua testolina che sembra sempre pronta a cadere a terra.
Comincia a camminare davanti a me, passo spensierato. Poi si ferma.
“Lo sai, una volta l’ho visto un film francese”
“Si, quale?”
“No scusa, era spagnolo”
“Di chi?”
“Di chi cosa?”
“Di chi era il film spagnolo.”
“Di un certo Salvatores, però non mi era piaciuto”. E ricomincia a camminare.
Osservo da dietro le sue spalle che si muovono scoordinate con le gambe, sembra un burattino. E i suoi
capelli a caschetto, neri, da studente di economia, che fanno pendant con le scarpe coi tacchi da
studente di economia che sono coordinate con la cintura lucente da studente di economia.
Prendo il cellulare, vado su Giulia. Cancellare numero? – si – numero cancellato.
Basta così poco per buttare via tutto.
Rimetto il cellulare in tasca, accelero il passo, prendo sottobraccio Filo.
Le dico del quadrato di Greimas, le chiedo se in qualche modo ci possiamo metter dentro le sue rette.
Lei neanche mi risponde, sbuffa come si fa coi bambini quando chiedono un altro gelato mentre hanno
appena iniziato un cono alla fragola.
Ma io lo so che è questo il momento in cui ogni retta troverà in me il suo spazio.


FRANCESCA RAFFAGNINO
RAGIONE E SENTIMENTO


Leonardo e Alessandra sedevano sugli scalini in pietra di un antico castello nascosto nella boscaglia. Una brezza leggera aleggiava tra le conifere e muoveva delicatamente i tralci d’edera che pendevano dall’arco sopra di loro. Dalle pareti in rovina sbucavano a ciuffi la felce e il rododendro che mostrava i suoi bei fiori rossi simili a esplosioni di fuochi d’artificio. Poco più avanti, dove il tappeto marrone di aghi d’abete finiva, si apriva uno spiazzo erboso costellato da margherite, nontiscordardime e primule. Era un’esplosione di luce sotto il cielo azzurro in confronto alla penombra del bosco dove i caldi raggi del sole sfioravano appena le rose selvatiche e qualche cespuglio di lillà stretto tra più radici nodose. Alessandra tirò fuori dallo zaino rosso un libro di scuola e un raccoglitore ad anelli. Leonardo prese il suo quaderno arancione pieno di orecchie e lo aprì posandolo sulle ginocchia, lanciando qualche occhiata, senza farsi accorgere, alla ragazza davanti a lui. Alessandra aveva un bel viso roseo, i capelli castani sulle spalle che formavano delle lievi onde sulle punte, gli occhi nocciola che brillavano vivaci e le lentiggini sul naso. Era una semplice ragazza di sedici anni che Leonardo conosceva da poco; eppure a guardarla ne rimaneva ogni volta affascinato. Non era particolarmente bella, come sottolineavano i suoi amici, ma era intelligente, qualità non da poco di questi tempi e aveva “ quel non so che cosa” che la distingueva dalle altre. Alessandra arrossì leggermente e schiarendosi la voce lesse i compiti sul diario:-
“ Dobbiamo fare insieme un commento della lettura pagina 174 che poi approfondiremo in classe a italiano”.
Leonardo prese il libro di letteratura e sfogliò le pagine cercando di non stropicciarle. Il suo, che aveva dimenticato a casa, in confronto era un campo di battaglia. Scarabocchi, caricature e freghi occupavano ogni spazio bianco delle pagine. Il libro di Alessandra,invece, era foderato con precisione con la carta per legatoria a motivi vari e colorati. Il suo non era foderato, anzi, non ricordava se ancora c’era la copertina. La ragazza lo guardò mentre girava le pagine; era bello con i capelli neri e gli occhi verdi penetranti, la pelle leggermente abbronzata. Si era sentita profondamente in imbarazzo quando la professoressa di italiano aveva scelto di mettere in coppia loro due per il commento della lettura. Ma una parte di sé, che voleva nascondere in ogni modo, era stata entusiasta di poterlo conoscere. Al pensiero si sentiva una stupida.
-“ Lancillotto sale sulla carretta” -. Lesse Leonardo. Entrambi risero.
- Ma che razza di titolo è ?!-. Alessandra si avvicinò per sbirciare il libro aperto.
- Non lo so, c’è scritto qui: ” Lancillotto o il Cavaliere della carretta è forse il più famoso dei romanzi di Chretien de Troyes”. Risero ancora e Alessandra continuò a leggere:” La storia: Ginevra, moglie di re Artù, è stata rapita dal perfido Meleagant, figlio del re di Gorre, un regno incantato e misterioso, da cui gli stranieri che vi siano entrati non possono più uscire. Tra i cavalieri che partono per liberare la regina ci sono Galvano, nipote di Artù, Keu, siniscalco- cioè grande funzionario- del re, e un cavaliere misterioso, che poi si rivelerà essere Lancillotto. Per raggiungere la regina, quest’ultimo deve superare prove e umiliazioni terribili come salire sulla carretta dei condannati a morte”.
- E il mistero della carretta è risolto!-. Aggiunse lei.
- E io che pensavo a chissà quale carretta!-. Disse lui. Sorridendo Alessandra domandò- Vuoi continuare a leggere?-.
- Va benissimo come leggi tu-. Rispose.
- Mi metti in difficoltà, visto che spesso leggo a mente, ma ci proverò-. Nella sua guancia destra si era formata una piccola fossetta e dopo un’occhiata fugace al bel sorriso di lui si schiarì la voce e lesse:
- Messer Galvano cavalcava per un buon tratto davanti tutti e non tardò molto a scorgere un cavaliere che procedeva al passo su un cavallo stanco e dolorante, coperto di sudore e al limite delle forze. Il cavaliere salutò per primo, e messer Galvano gli rispose. Allora l’altro (Lancillotto), che lo aveva riconosciuto, si fermò e disse:
“ Signore, vedete fino a che punto il mio cavallo è sudato e stremato, si che non mi serve più? Credo che questi due destrieri vi appartengano. Ora vi pregherei di darmene uno qualunque, in prestito o in dono, col patto che ve ne renderò servigio e ricompensa ” .
Messer Galvano risponde” Scegliete quello che preferite”.
Ma l’altro ne aveva un bisogno tale che non cercò di discernere il migliore, o il più bello o il più grande, e montò subito sul destriero che gli era più vicino. Il cavaliere non si è attardato e , coperto di tutte le proprie armi, si è diretto verso la foresta. Messer Galvano lo insegue e lo incalza con accanimento. Lo vede discendere un’altura e poi cavalcare a lungo. Passa oltre a gran andatura e rivede il cavaliere, solo e appiedato, vicino a una carretta. Come la gogna, la carretta veniva usata per gli assassini e i briganti e per i ladri che si erano impadroniti degli averi altrui con l’astuzia o che li avevano rapinati con la forza per le strade-.
- E’ cambiato molto da quei tempi a oggi-. Commentò Leonardo.
- Veramente tanto, ma forse,a pensarci bene, solo nel modo di punire i reati !-. Lei continuò:
- Chi era colto sul fatto, veniva fatto salire sulla carretta e trascinato di cammino in cammino; perdeva ogni merito, non veniva più ricevuto a corte, né onorato o ben accolto. Il cavaliere avanzava appiedato e senza lancia dietro quella carretta sulle cui stanghe era un nano che, come un carrettiere, impugnava una lunga verga.
Il cavaliere gli chiede- girò pagina- “Nano, dimmi in nome di Dio se hai visto passare per di qua madama la regina”. Ma quel nano, vile e di ignobili origini, non vuole dargli notizie e dice invece:
”Se vorrai montare sulla carretta che conduco, prima di domani potrai sapere cosa è avvenuto della regina”.
Il cavaliere esita e prosegue per la propria strada senza accettare l’invito. E fu per sua sventura e vergogna che non vi salì subito, perché più tardi avrebbe avuto a pentirsene e avrebbe giudicato di aver agito male. Ma Ragione, in disaccordo con Amore, gli suggeriva di guardarsi dal montarvi, e lo esortava e lo ammaestrava a non intraprendere un’azione che gli sarebbe tornata in onta e a biasimo (disonore e disapprovazione). Ragione non ha posto nel cuore, ma nella bocca: per questo osava parlargli in tal modo. –
Sopra di loro, saltando tra i rami, un usignolo intonò un canto.
– Ma Amore, che era rinchiuso nel suo cuore, gli ordinava e lo ammoniva di montare subito. Poiché lo vuole Amore, il cavaliere sale sulla carretta e non si cura di provare vergogna: è Amore che comanda e vuole-.
Alessandra arrossì un poco e riprese la lettura:
-Quanto a messer Galvano, egli sprona dietro alla carretta ed è molto stupito di vedervi seduto il cavaliere.
“Nano” dice “Dimmi della regina, se lo sai”.
“Se tu provi per te stesso un odio violento quanto quello che il cavaliere che siede qui nutre per la propria persona” risponde il nano” monta con lui, se vuoi; vi condurrò entrambi”.
Udendo tali parole, messer Galvano, lo prende per folle, e dichiara che non salirà affatto: farebbe un bel vile baratto se mutasse il cavallo per una carretta-.
- Penso che la nostra professoressa voglia farci esprimere un parere sullo scontro tra Ragione e il Sentimento-. Disse Leonardo.
- Bene io so già cosa pensare; sono d’accordo con Galvano, non sarei mai salita sulla carretta-. Disse lei facendo una piccola smorfia.
- E perché? -. Chiese un po’ incredulo lui.
Alessandra arrossì un poco:- Rinunciare ai propri obiettivi personali per un amore che forse durerà solo qualche anno, mi sembra…stupido-.
- Ma se quell’amore fosse vero?-. Leonardo si sentì in imbarazzo a fare quei discorsi.
- Mi stai forse dicendo che tu saresti salito sulla carretta?-. Alzò le sopracciglia sorpresa.
- Non rispondere con un’altra domanda-. Disse velocemente- E poi cosa c’è di male?-.
- Nulla; solo che oggi vedere qualcosa di buono è difficile-. Sussurrò.-Comunque se fosse vero amore…non so… anche le mie passioni sono vere-.
- Anche quelle di Lancillotto erano vere, ma è salito comunque sulla carretta perché il suo cuore lo guidava verso Ginevra - Ora era profondamente in imbarazzo.
- Bei sentimenti, ma non esiste solo il cuore-. Sorrise lei-La Ragione evita che il sentimento ci faccia entrare in una via di non ritorno-.
- Ammiro la tua determinazione-. Disse Leonardo con sincerità- Ma non si può vivere di sola Ragione, non si può rinunciare ai sentimenti-. Nei suoi occhi verde scuro Alessandra lesse la verità di quelle parole.- Io credo che non si debba rinunciare né alla Ragione né al Sentimento, bisogna solo essere abbastanza abili da gestire entrambi-.
- Ho capito cosa vuoi dire: non ci sono due soluzioni separate, ce n’è un’unica che unisce entrambe, anche se ancora non riesci a convincermi. Cosa ti piacerebbe fare da grande?-.
Esitò un attimo –Forse il disegnatore di fumetti-.
- Bello-. Disse affascinata lei- Ma se la donna che ami dovesse andare dall’altra parte del mondo e tu per disegnare fumetti volessi frequentare una scuola prestigiosa da questa parte?-. Leonardo sorrise. Era brava ad usare le parole.
- Tu cosa faresti?-.
- Non rispondere con un’altra domanda-. Sorrise lei.
- Cercherei una soluzione che possa soddisfare entrambe, sia la Ragione che il Cuore-.
- Non credo nell’amore a distanza-. Incrociò le braccia
- Qui non ci sono vie di mezzo; si deve sacrificare una delle due. Io sacrificherei il Cuore-.
- Okay. Cosa vuoi diventare da grande?-. Chiese lui incuriosito.
- Una delle più grandi scienziate al mondo-. Disse lei con sicurezza, senza alcun velo di esitazione.
- Ma se l’uomo della tua vita, l’unico, dovesse andare all’altro capo del mondo lo seguiresti?-.
- No-. Nel suo tono c’era una nota che calava troppo. Leonardo accennò un sorriso:
- Sicura?-.
- Certo-. Disse schiarendosi la voce.
- L’unico uomo della tua vita-. Sussurrò.
- Se mi ama veramente mi aspetterà-.
- Vedi, in questo modo non stai sacrificando nulla. Stai solo percorrendo la sacra via di mezzo allungando i tempi-. Disse lui.- Il tempo risana le ferite dello scontro tra Ragione e Sentimento. -. Ci fu un lungo silenzio che non aveva infine nulla di imbarazzante.
- Credo di odiare Lancillotto -. Scherzò lei.
- Per me non è uno dei personaggi più belli del Ciclo Bretone infatti -. Aggiunse Leonardo.
- Hai mai letto la Queste du Graal? Galaad è il mio personaggio preferito in assoluto-.
- Preferisco Parsifal sinceramente…-. I due continuarono a conoscersi e a parlare dei propri sogni e delle loro aspirazioni scherzando fino a quando il sole non divenne rosso e illuminò di sprazzi infuocati le montagne che li circondavano. E di certo un raro e profondo sentimento aveva incominciato a farsi strada nel cuore dei due.
La questione non era stata risolta e forse non lo sarà mai, ragione e sentimento sono inscindibili, a volte prevale l’una, altre volte l’altro, spesso in relazione alle stagioni della nostra vita.




GENTIAN PRROJ
'Dreaming all right'




Era presto, molto presto. Era notte fonda può darsi. Le immense nuvole nere coprivano il cielo altrettanto scuro, e solo una fioca luce proveniva da quella sofferente luna.
Muovendosi piano i rami degli alberi danzavano simultaneamente seguiti dai fiori gialli, blu che nei vasi di terracotta davano il loro contributo a quella magica coreografia. L'erba era umida e fredda. Su un tronco, svelto, un piccolo uccello grigio e bianco si muoveva beccando dei semi, l'unico da lì a poco con tanta vitalità in quel giardino notturno.
Tra qualche strato di coperte, in quella notte d'autunno dormiva lieta una piccola creatura. Giaceva immobile tra il caldo abbraccio dei sogni e sorridendo stropicciava le mani.
Teneva stretta una coperta, era rossa e bianca ricamata amorevolmente e altrettanto amorevolmente dalla bambina era conservata. Poco più in là, una finestra socchiusa lasciò entrare all'interno di quella incantevole cameretta un freddo vento.
Non era un vento normale, dolce e non troppo freddo: era gelido.
Non si soffermò più di tanto sui dettagli di quella stanza, ma arrivò preciso ed entrò tra gli spifferi del piumone svegliando quella dolce bambina.
Le pesanti nuvole scure le apparirono come prima cosa e, strofinandosi con i piccoli polsi gli occhi, si alzò, tenendosi le braccia tra le mani. Avanzò per qualche passo, fino ad arrivare alla finestra si sporse per afferrare la maniglia e sporgendosi intravide una luce, era in risalto con il resto del giardino, luminosa. Le appariva come una lucciola. Troppo ingenua e giovane per sapere che era autunno. Lasciò aperta la finestra e corse sbattendo i piedi per terra, come il battito d'ali di una rondine. Frettolosa, impaurita dal pensiero di perderla, uscì socchiudendo la porta.
Subito intravide la lucciola, e la piccola Stella le corse dietro. Un' altra gelida ventata la scosse, ma non si fermò. Attraversò il giardino, perfino l'uccellino prima indaffarato ora dormiva, quel giardino non danzava più, solo la luna però si era fatta più chiara.
Aveva il fiatone, davanti a se la lucina continuava a scappare, prima si fermava un po' e poi però partiva più veloce. La dolce Stella non si fermava, sempre pulsante di energia, attraversò senza timore quello spoglio campo, su quella dolce collina.
Nonostante la sua fermezza cominciò presto a stancarsi. La lucciola continuava a scapparle ed era impossibile per la piccola Stella prenderla. Si arrese. Si girò dietro di se volendo entrare in casa, e desiderando tornare tra l'abbraccio del suo caldo piumone. Ma questi era ben lontano da lei. Non si ricordava quanta strada aveva percorso ma non riconosceva nulla in quel posto. Alzò la testa e spostando dagli occhi i suoi capelli biondi guardò il cielo, non vi erano stelle, nemmeno una. Era l'unica Stella.
Scalza e infreddolita.
Poco più in là vi era una grande quercia, concava e cercando riparo la bambina vi entrò. Non aveva avuto alcuna paura ad arrivare fin lì, ma cominciava ad averne, lontana da casa sua. Gli occhi le si erano inluciditi , e in procinto per piangere, sentì una voce.
Pensò si trattasse di sua madre, le sembrava familiare, ma non era così.
Sporse di poco i suoi occhi celesti e scrutò da dove essa venisse.
Sorpresa quasi balbettando sussurò due parole -Una fata-
-Non sono una fata piccola Stella- quella disse di non esserlo, ma la bambina era certa che lo fosse, sua mamma glie le descriveva così le fate, solo più piccole.
Era luminosa, molto luminosa. Rifletteva negli occhi di stella tutta la sua bellezza. Anche lei aveva i capelli biondi e lunghi ornati però da margherite e rose. Le se avvicinò e Stella si ritirò inciampando nel suo tronco vuoto. -Non temermi Stella, sono tua amica- Sorridendole le si avvicinò sempre più.
Profumava di muschio selvatico, di rosa, di tulipani di corteccia. Il suo aroma era dolcissimo e lei cominciò ad annusarla come un topolino in cerca di formaggio.
La quercia scura e accogliente fu presto abbandonata.
-Sai, sono la regina di questi boschi- e sorridendole le porse la mano. Stella accettò e uscì dalla quercia e dal riparo dei suoi grandi rami mano per mano con quella incantevole regina.
Camminava piano e pestava l'umida erba senza più timore, attraversò la collina e giunse fino all'estremità del bosco. -Regina- domandò la piccola, -Dov'è la lucciola?-
-Quà- le rispose lei, e dal suo palmo fece apparire la lucciola che Stella tanto aveva inseguito.
-Sai, ti ho chiamata io sta notte, perché devo farti vedere una cosa.- tenendola stretta per mano la La portò fino ad una sorgente d'acqua dove vicino c'era un incantevole riparo, e nel mezzo ad esso erano posti due troni luminosi, belli come la regina, parevano fatti di luce pura e costruiti con foglie e fiori.
-Regina, è bello questo posto- guardandosi intorno meravigliata continuò -Questa è casa tua?-
Lei sorridendo lo rispose -Da ora è anche tua.- e mentre le guardava dolcemente, decine di fatine e di folletti arrivavano dai meandri di quel posto incantato, tutti belli e splendenti. Cinque di esse portavano tra le mani una corona di fiori, e altre tre di esse una collana di rugiada. I folletti la portarono dolcemente fino al suo trono accanto alla regina, le furono date la corona e la collana. Sedeva come una piccola principessa, ornata di regali e guardava il mondo con degli occhi pieni di stupore. Gli animali assistevano tutti in torno al boschetto, i pesci uscivano di poco dall'acqua di quella fredda sorgente. Un'infinità di lucciole si posò sopra le foglie rendendo luminosi gli alberi, e Stella guardando in su vide allontanarsi le nuvole e fare spazio a tutte le stelle belle e splendenti, e ad una luna più fantastica che mai, che con il suo chiarore rese tutto più incantevole di quanto già non poteva essere.
Per tutta la notte gli animali e le fate e i folletti cantarono e danzavano insieme a Stella che divertita rideva cristallina.
Le porsero frutti buonissimi e le fragole le parevano più squisite che mai.
Non sentiva più freddo. Così continuò per tutta la notte e i festeggiamenti non si interruppero. Quando si addormentò sul suo trono di luce, la sollevarono dolcemente cento fate e la posero su un letto di muschio ricamato, e lei tenendo stretta quella profumata coperta, si addormentò.


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